Il copyright sui social network: alcuni miti da sfatare


La vicenda delle vignette prelevate da Internet e ripubblicate in un libro dal Corriere della sera ha risvegliato alcune teorie bizzarre sulla gestione del copyright in rete e in particolare sui social network. Ma come stanno davvero le cose?

Il mio repertorio di leggende metropolitane sul funzionamento del diritto d’autore è già piuttosto fitto, e pensavo di averle ormai chiarite più o meno tutte con i miei vari articoli e rubriche. Ma ce ne sono alcune che periodicamente tornano a circolare e quindi a rafforzarsi. Ne approfittiamo per dare una lettura più attenta a un esempio di quei “Termini di servizio” (ToS) che nessuno legge mai, salvo quando capita la magagna; e che ‒ a quanto pare ‒ anche quando vengono letti, non sempre vengono capiti.

LA VICENDA DELLE VIGNETTE PRESE DAL WEB E RIPUBBLICATE DAL CORRIERE DELLA SERA
Nei giorni scorsi ha fatto nuovamente capolino una delle più subdole leggende: quella secondo cui la pubblicazione di una propria opera (principalmente foto e filmati) su Facebook (che prendiamo come esempio per gli altri, quali Twitter, G+, Vine, Instragram) comporterebbe una sorta di rinuncia ai propri diritti d’autore, in forza di una particolare clausola dei termini d’uso del servizio. A portarla ancor più di prima sotto la luce dei riflettori è stato l’episodio, effettivamente spiacevole, della pubblicazione da parte del Corriere della Sera di un libro messo in vendita presso edicole e librerie e contenente varie vignette di disegnatori italiani dedicate ai tristi eventi di Parigi: una pubblicazione effettuata in fretta e furia (per cavalcare l’onda dell’attenzione mediatica legata agli eventi) e senza premurarsi di chiedere le dovute liberatorie, in sfregio di un principio cardine del diritto d’autore e se vogliamo anche dell’etica dell’attività editoriale.
Ecco che quindi la bizzarra teoria è stata rispolverata per giustificare l’incidente; al punto che si è dovuto scomodare anche il blog antibufala per eccellenza curato da Paolo Attivissimo, con un post intitolato “Se pubblico una vignetta su Facebook, davvero chiunque può usarla? Alcuni dati per ragionare” (vedi) e seguito da numerosi commenti da parte dei lettori (anch’essi farciti di varie teorie bizzarre e leggende).


COME FUNZIONA IL COPYRIGHT
Innanzitutto una premessa generale, che spero rimanga incisa per i secoli dei secoli nelle menti dei lettori: salvo casi di opere cadute in pubblico dominio e di casi di “fair use” o libera utilizzazione (specificamente previsti dalla legge), dobbiamo sempre assumere che un’opera sia sotto copyright; il copyright è infatti una tutela “automatica” che si applica anche senza che l’autore si sia preoccupato di segnalarlo con i classici disclaimer (“riproduzione riservata”, “all rights reserved” e simili).
Altra premessa essenziale (e comunque corollario della precedente): in quasi tutti gli ordinamenti vige un principio fondamentale secondo cui la cessione dei diritti esclusivi su un’opera creativa debba essere sorretta da una solida prova e che l’onere di questa prova sia a carico di colui che intende far valere questa cessione. Questo principio, nel diritto d’autore italiano, è stabilito dall’art. 110 della legge sul diritto d’autore, che tra l’altro impone una prova scritta. Ne consegue che, nel caso di una diatriba sulla cessione dei diritti, l’autore, in quanto titolare originario dei diritti, si trova sempre in una posizione privilegiata, dato che a lui basta provare di essere autore; mentre l’altra parte, quella che reclama di aver regolarmente acquisito i diritti, deve provare che la cessione dei diritti sia effettivamente avvenuta.
Questo principio ci fa da scenario generale in tutti quei casi in cui qualcuno si arroga il diritto di utilizzare un’opera dell’ingegno altrui senza giovarsi di una preventiva cessione dei diritti e senza chiedere la regolare autorizzazione al titolare dei diritti.
Gli autori ovviamente possono anche decidere di autorizzare “a priori” alcuni usi delle proprie opere, allegando alle stesse delle licenze d’uso in cui precisare termini e condizioni. È questo ciò che succede per esempio quando un autore rilascia un’opera con licenza Creative Commons oppure quando un autore pubblica un proprio filmato su YouTube (di default infatti YouTube attribuisce una licenza “standard” ai filmati).
 

IL COPYRIGHT ALL’INTERNO DI FACEBOOK
Ora, nel caso di specie che qui interessa, si tratta di capire come è regolamentato questo aspetto su Facebook. Per rispondere dobbiamo andare a leggere i termini di servizio di Facebook.
È necessaria un’altra precisazione importante: Facebook con il suo quasi miliardo di utenti attivi è diventato un rilevante “pezzo di Internet” (inutile negarlo) ma non è “Internet”; dunque non è detto che le regole valide all’interno del social network abbiano necessariamente ricadute al di fuori di esso. I suoi termini d’uso sono ispirati al diritto statunitense ma ciò non implica che essi possano essere applicati in tutto il mondo senza la minima considerazione dei principi inderogabili presenti in altre legislazioni; su questo aspetto non si può far altro che rimandare ai principi del diritto internazionale privato.
Scendendo più nello specifico, non ci resta che leggere i paragrafi dei termini di servizio di Facebook (formalmente denominati “Dichiarazione dei diritti e delle responsabilità”) che si occupano dei contenuti tutelati dal diritti di proprietà intellettuale. (Nota: li riporto in italiano per una maggiore comprensione, anche se in realtà il testo di riferimento a livello legale rimane quello in inglese).
All’articolo 2 (“Condivisione dei contenuti e delle informazioni”) si legge: “Per quanto riguarda i contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale, ad esempio foto e video (“Contenuti IP”), l’utente concede a Facebook le seguenti autorizzazioni, soggette alle impostazioni sulla privacy e alle impostazioni delle applicazioni: l’utente concede a Facebook una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l’utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook (“Licenza IP”).”
Qual è il vero senso di questo paragrafo? Innanzitutto segnaliamo che, quando nei termini di servizio si parla di “Facebook”, ci si riferisce alla società Facebook Inc. e non alla rete sociale in sé. Qui dunque si stanno disciplinando i rapporti giuridici tra due soggetti specifici: l’utente di Facebook che, avendo un profilo sulla piattaforma, carica contenuti su di essa e la società commerciale che gestisce questa piattaforma.
Inoltre, notiamo che si tratta di una “licenza non esclusiva”, il che è già sufficiente a sfatare l’assurda leggenda secondo cui caricare un’opera su Facebook significhi perdere i diritti su di essa a favore di Facebook Inc. Una licenza non esclusiva non è un contratto di cessione dei diritti, ma appunto una semplice autorizzazione data dal titolare dei diritti.
Ciò ha la principale funzione di tutelare la Facebook Inc. nell’attività di diffusione di contenuti creativi attraverso il social network e di preservare la società da eventuali richieste nei suoi confronti da parte dei titolari dei diritti.
Un po’ meno limpido è in effetti che questa licenza sia qualificata anche come “trasferibile e sublicenziabile”; quasi a voler dare maggiore possibilità di manovra alla Facebook Inc. in tutti quei casi in cui si appoggia ai servizi di altre aziende o in cui fornisce ad altri soggetti servizi integrati con la sua piattaforma.
Tuttavia a rassicurare i titolari dei diritti arriva il paragrafo subito successivo, in cui si legge: “La Licenza IP termina nel momento in cui l’utente elimina il suo account o i Contenuti IP presenti nel suo account, a meno che tali contenuti non siano stati condivisi con terzi e che questi non li abbiano eliminati.”
In sostanza, all’autore che voglia revocare questa autorizzazione è sufficiente rimuovere il contenuto dalla piattaforma. Questo ci fa capire quanto sia poco verosimile che Facebook Inc. possa fare in futuro una concreta attività di sfruttamento delle opere presenti sul social network senza comunque premurarsi di chiedere una specifica cessione dei diritti ai rispettivi titolari. Sarebbe troppo rischioso dal punto di vista legale. E ciò vale anche per tutti gli altri soggetti che, pur non essendo Facebook Inc., trovano sul social network contenuti e serenamente li prelevano per ripubblicarli altrove.
 

SU FACEBOOK MA ANCHE... AL DI FUORI DI FACEBOOK
Pochi paragrafi più avanti, si trova infine la seguente disposizione: “Quando l’utente pubblica contenuti o informazioni usando l’impostazione “Pubblica”, concede a tutti, anche alle persone che non sono iscritte a Facebook, di accedere e usare tali informazioni e di associarle al suo profilo (ovvero al suo nome e alla sua immagine del profilo).”
Questa appare più che altro come una nota informativa verso l’utente, con lo scopo di sottolineare e chiarire meglio il funzionamento della piattaforma. L’utente ha infatti la possibilità di decidere a quali gruppi di persone o singole persone rendere visibile o non visibile un suo post, utilizzando quelle che Facebook chiama (forse impropriamente) “impostazioni privacy”: mi riferisco a quell’opzione che troviamo sotto a ogni post (sia esso uno status, un link, un immagine, un filmato) e che ci permette di scegliere tra “solo io”, “solo amici”, “pubblico”, oppure, entrando nelle impostazioni, di personalizzare più precisamente l’audience.
Il paragrafo sopra riportato ci sta in sostanza ricordando che, scegliendo l’opzione “pubblico”, il post sarà ricondotto a un Url pubblico, quindi presente liberamente sul web e visibile a chiunque sia su Internet anche senza essersi mai registrato su Facebook. In quel caso dunque l’utente sceglie di lasciar circolare il contenuto in massima libertà dato che esso risulta comunque liberamente “linkabile” da chiunque: ricordiamo infatti che, come già chiarito in un precedente articolo, il link, anche sotto forma di deep linking e content embedding, è sempre consentito in rete.
Tuttavia, anche in questo caso, uscire dall’ambito del link prelevando il contenuto per spostarlo su altro sito o addirittura su altro media è attività che richiede la preventiva ed espressa autorizzazione da parte del titolare dei diritti.
Poi se vogliamo a tutti i costi estendere il concetto di “fair use” e di “libera utilizzazione” al massimo della sua elasticità, lo possiamo fare; da lì a dire che mettere un contenuto in rete sia una sorta di cessione generalizzata in pubblico dominio c’è molta strada.

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